Kintsugi Part 2. Galleria dell'Artistico, Treviso. 07-12-2018 - 06-01-2019
I dipinti ritraggono i 17 desaparecidos Nikkei scomparsi in Argentina durante la dittatura degli anni 1976-1983. La parola “desaparecido” significa scomparso ed è un termine inventato dalla burocrazia della “Junta”, la dittatura militare che governò in Argentina tra il 1976 e il 1983, per classificare tutti gli oppositori politici fatti sparire dalle autorità e che rende tutta l’ambiguità, l’ipocrisia ed il sadismo di cui il regime era capace. Gaby Oshiro, con il gesto di far “riapparire” i 17 Nikkei di fronte a dei “testimoni”, fa diventare il pubblico partecipe e attivo nella reazione contro gli atti barbarici e inumani commessi dai militari argentini.
I “ritratti”, che l’artista ha ricostruito attraverso fotografie e testimonianze, vogliono ricordare quelle persone, tra cui suo padre, Oscar Takashi Oshiro, che lottarono e morirono per la giustizia, la libertà e la democrazia.
L'allestimento propone una sorta di riappropriazione dello spazio fisico: “insediando” ogni ritratto e quasi riempiendo tutta la galleria, si vuole rendere tangibile il posto che i “desaparecidos” avrebbero occupato. Nella comunità argentina Nikkei, cioè dei giapponesi che vivono fuori dalla madre patria, il ricordo dei familiari è ancora vivo, dopo più di quarant’anni, come vivi e accesi sono i nei colori della tavolozza di Gaby. La pittura qui diventa testimonianza, e sottolinea la prova della presenza del padre.
Gaby, attraverso l’esperienza fisica della pittura, mette in campo una reazione all'azione compiuta dagli assassini di suo padre che, oltre ad ucciderlo, hanno anche cercato di far sparire la sua identità, sostituendo il suo nome e quello degli altri 30.000 con un numero: “Ho passato più di vent'anni a disegnare, dipingere ritratti, occhi di estranei, evitando sempre l'argomento che era proprio di fronte a me da quando avevo 5 anni, ma che non ero mai pronta ad affrontare. Ho portato questo carico emotivo dal giorno in cui mio padre è stato catturato dalla dittatura militare argentina negli anni '70. Il peso era sempre lì, o meglio quell'assenza mi ricordava continuamente che non riuscivo a “chiudere il cerchio”; questo era anche legato alla speranza di rivedere mio padre, improvvisamente, allo stesso modo in cui era “scomparso” il 21 aprile 1977”.
Gaby ci racconta ora le sue scelte in merito a questa mostra che ha già esposto tra settembre e ottobre del 2016 presso l'Espacio Cultural de la Biblioteca del Congreso de la Nacion di Buenos Aires in occasione del centesimo anniversario della fondazione della Asociaciòn Japonesa in Argentina nell'ambito delle “Jornadas Japòn y Argenina Integrados por el Arte” allestita sempre in collaborazione con l'arch. Germano Dalla Pola.
Cos'è Kintsugi? È l'arte giapponese di riparare gli oggetti di ceramica con l’oro; ma non è solo una tecnica, è anche un'idea filosofica legata al wabi-sabi, che consiste nel trovare la bellezza in qualcosa di imperfetto. Sentivo che Kintsugi era una metafora perfetta per ricordare quegli uomini e quelle donne che sono stati colpiti dalla tragedia di perdere i loro cari così all'improvviso. Con la loro vita a pezzi, hanno trovato il coraggio di raccogliere quei pezzi e andare avanti, esigendo risposte da un governo che stava commettendo un genocidio. Abbracciando l'accettazione del cambiamento (mushin), come in "Kintsugi", l'oggetto riparato con l'oro diventa più bello a causa della sua storia e dei suoi difetti.
Nuovo punto di vista per Kintsugi, parte II.
L'installazione comprende diciassette sedie con 16 ritratti (30,5 x 45,7 cm), una tela extra vuota che ricorda Juán Alberto Cardozo-Higa e i 30 mila desaparecidos dell'Argentina.
Dal giorno in cui mio padre è stato strappato dalla mia vita, la sua sedia vuota all’ora di cena era il costante richiamo della sua assenza.
I posti che visitavamo, le persone che conoscevamo erano sempre lì; tutto era uguale, tranne la sua presenza. Il buffo papà che mi portava a scuola sulle sue spalle, era diventato una sedia vuota.
Sto venendo a patti con l'assenza, accettando il suo/loro destino non come una sconfitta, ma come una prova per me, una sfida che mi fa intuire che i 17 Nikkei sono stati presi perché rappresentavano un valore per la società Argentina. I militari eliminarono l’élite intellettuale del paese: artisti, professionisti in ogni campo, giornalisti, scrittori, poeti, ecc.
Gli ultimi due anni hanno visto molti cambiamenti tra i parenti e dentro me stessa. Ogni famiglia è diventata più forte e si rende conto che i desaparecidos Nikkei aprirono la strada per una nuova società.
Siamo tutti il risultato degli eventi e delle esperienze che hanno plasmato la nostra esistenza, le avversità ci rendono individui belli, unici.
Dopo anni di silenzio dove abbiamo portando la scomparsa dei nostri cari quasi come uno stigma, ho voluto gridare al mondo, con i miei colori, che non ci stiamo più nascondendo, che siamo orgogliosi dei nostri desaparecidos, che stiamo lasciando andare il dolore e che stiamo portando ferite e imperfezioni come "cicatrici di battaglia" e che questo ci ha reso più forti. Oggi l'enorme assenza lasciata dai desaparecidos è ancora palpabile, si sente tanto quanto la loro presenza di quando erano in vita, e forse anche di più. Oggi c'è sicuramente una maggior consapevolezza in merito al loro fertile esempio di apertura verso le altre etnie, alla loro mentalità “ibrida”, all'integrazione nel loro paese sudamericano. Il loro impegno per creare un paese migliore è vivo più che mai nelle nuove generazioni.
Dopo quarantadue anni, i parenti dei desaparecidos in Argentina stanno ancora cercando giustizia e risposte sul destino dei desaparecidos. Dopo tutto questo tempo, questi volti riapparsi sulle tele, sono la testimonianza che non sono stati dimenticati.