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Kintsugi, Alcune Brevi Note...

La forma circolare, un archetipo antico.

Abbiamo usato la forma del cerchio come principio ordinatore dell’esposizione. Il cerchio è, inutile dire, la forma più pura ed allo stesso tempo più complessa che esista e, insieme al quadrato, accompagna l’Uomo da sempre. Riunirsi in cerchio è un atto che esprime concentrazione, forza e solidarietà: ci si riunisce in cerchio per difendersi quando si è attaccati, ma anche, raccolti in cerchio, si ascolta e si è ascoltati e si è pari tra pari, senza differenze. In cerchio si condividono le cose più importanti: passioni, idee, sogni. In cerchio si prendono a volte anche decisioni fondamentali, che spesso lasciano un segno.

Abbiamo voluto questa forma anche perché è la forma usata per gli edifici commemorativi, che hanno una funzione di ricordo e ‘memento’ (mementum, il monito di non dimenticare). Il Pantheon, per esempio, è uno di questi.

Dietro ogni porta c’è una famiglia, dietro ogni porta c’è una storia.

Abbiamo scelto delle porte per sostenere i ritratti.

Ogni porta rappresenta una storia, una famiglia. Sono tutte diverse, perché ogni storia è diversa, ma sono fatte tutte dello stesso materiale e, per quanto vecchie e sbattute, sono ancora in piedi, una accanto all’altra.

Le porte si sostengono l’una con l’altra.

Ogni porta è sostenuta e sostiene quelle vicine. I cardini di una sono ancorati alla precedente e così via. Un po’ paradossale, quasi un enigma, ma è così che si sta in piedi quando il vento tira forte: reggendosi l’un l’altro, legandosi l’uno all’altro.

Una porta è aperta.

Il cerchio in un punto è aperto. Non rotto o interrotto, ma aperto. Nel senso che non si tratta di una interruzione o di una frattura, ma di una apertura che permette di guardare dentro e di attraversare il limite tra ciò che è il mondo fuori, con il suo fluire, a volte anche confuso, e quello che è il mondo interiore del ricordo, della meditazione, dell’ascolto e del silenzio. Una porta aperta permette questo attraversamento: la porta di Juan Alberto Cardoso Higa. L’unica senza ritratto perché di lui non ci sono pervenute immagini. Ma proprio questa assenza ha reso possibile quel gesto dell’apertura. Il suo nome si apre verso l’esterno come un invito ad entrare; il suo nome resta in attesa che qualcuno raccolga questo invito.

Nel cerchio di porte non va alcuna scritta o elemento che possa disturbare l’incontro con i volti dipinti.

All’inizio volevamo mettere sotto ogni dipinto un breve testo, un piccolissimo racconto che, affidato al ricordo dei famigliari, potesse restituire l’immagine di ognuno di loro. Ma poi ci siamo resi conto che tutto ciò, anche se trattato in modo lieve e discreto, avrebbe in qualche modo distratto e addirittura infastidito chi, per ricordare, non aveva bisogno di suggerimenti. Preferiamo che all’interno di quel circolo i volti parlino da soli e a tu per tu con chi gli sta di fronte; quello che dovrebbe nascere è un dialogo, e una terza voce avrebbe confuso le parole.


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